La narrazione della Storia - Nome in codice: Maria Maggi
Adottare nuovi registri espositivi nell'insegnamento
C'è una storia nella Storia che voglio provare a raccontarvi in un modo diverso, senza farvi nomi, dandovi indizi per la ricostruzione di una vicenda poco nota riguardante una donna che, al contrario, è stata per molt* un mito e da altrettant* odiata. Questa è una storia che ha la sua base sia nei fatti ma altresì nella leggenda, un racconto se vogliamo macabro, un racconto che è epilogo e inizio di un più ere, per una nazione martoriata dalla violenza: l'Argentina.
Ma iniziamo con il racconto...
Il viaggio
13 maggio 1957. Giorgio De Magistris naviga verso Genova sul Conte Biancamano. È argentino di origini italiane. Ha deciso di tornare in patria per seppellire la giovane moglie nel luogo che li ha visti nascere entrambi, sebbene dopo l’emigrazione delle famiglie, fossero cresciuti e poi sposati a Buenos Aires. La moglie del vedovo si chiama Maria Maggi, ed è morta in un brutto incidente d’auto. La sua bara è nella stiva, pronta per essere sbarcata. Il vedovo disperato si confida con l’ufficiale che ogni giorno lo porta all’ingresso della stiva: guidava lui in quel mortale incidente e ne porta ancora i segni, un braccio ingessato, il setto nasale rotto, una grossa cicatrice in fronte.
L’ufficiale nota che la bara è molto ampia e sa che è particolarmente pesante, glielo hanno raccontato i marinai che si sono occupati dell’imbarco; ne deduce che la signora Maggi dovesse essere un donnone, forse assai robusta, alta. Se sapesse che i doganieri al porto avevano rilevato 400 kg di peso si farebbe venire dei sospetti, ma nessuno lo ha avvisato.
A Genova, la bara viene accolta da Padre Giulio Madurini e da un manipolo di meticolosissime suore. De Magistris ha dato disposizioni che la salma venga trasferita a Milano in via Mercalli al 23. Non ci arriverà mai.
Lo sconsolato vedovo, la salma, il prete e le suore si dirigono, invece, verso il Cimitero Maggiore di Milano (altrimenti detto Musocco) e, senza troppe cerimonie, procedono all’inumazione nel campo 86, tomba 41, con una lapide in marmo che porta scritto: Maria Maggi De Magistris 1911-1941. Giorgio alla sua sposa carissima.
Notato qualcosa di strano con le date? 1957, 1941…
Il medico
Il dottore si sente al sicuro in Argentina. È scappato dalla Spagna nel 1938, dopo le pesanti accuse da parte dei Franchisti di essere un esponente sovversivo della sinistra clandestina. Ha perso il suo posto di professore in anatomia all’Università di Salamanca, ma adesso attende di essere riammesso in patria, dopo un periodo trascorso all’ambasciata spagnola di Buenos Aires. Sebbene assolto dalle accuse che lo hanno perseguitato per anni, il dottore non torna definitivamente in Spagna, anzi… Preferisce continuare il suo lavoro di medico nella nazione che l’ha accolto. Il suo è un nome noto anche perché nel suo campo di specializzazione ha portato avanti tecniche di enorme prestigio. Ancora ricorda la fama acquisita quando, con una equipe tecnica unica al mondo, ha partecipato all’imbalsamazione del corpo di Lenin nel 1924.
Non può sospettare di essere chiamato ancora a svolgere un ruolo simile per personaggi di alta levatura. Sì, è vero, ha anche operato sul corpo di Manuel de Falla, cantautore nazionalista spagnolo, ma chi ancora può permettersi le sue parcelle? Le parcelle di un mago dell’arte della tassidermia?
È il giugno del 1952: qualcuno, qualcuno di estremamente importante, di totalmente inaspettato, lo convoca e gli chiede se è disposto a offrire i suoi servigi per rendere immortale una donna che sta morendo. Accetta.
Un mese dopo, il 26 luglio, viene accompagnato al capezzale della donna che, una volta spirata, subisce un primo trattamento di stabilizzazione. Dopo il corteo funebre, la salma è trasposta in un laboratorio allestito per procedere con il lavoro di imbalsamazione, un lavoro che ossessiona il dottore a tal punto che, per perfezionarlo, impiegherà 1 anno. Ma alla fine, quel corpo, non si modificherà mai più.
Il generale
1 giugno 1970, h. 7.00 del mattino. Lo hanno rapito senza difficoltà, erano in tre, volto coperto. È in mano loro da poche ore, ma sa già come finirà; poco dopo il sequestro hanno annunciato pubblicamente che è in corso un processo rivoluzionario contro di lui. Non sarà un processo equo. Poco prima di sparargli in testa, gli chiedono dove sia finito il corpo di Quella Donna. Che la cosa rimanga ignota, oramai, non gli interessa più. Risponde “Il corpo è in Italia…” Non sa più di questo, aveva chiesto che lo tenessero all’oscuro, è tutto nelle mani del notaio, tra quelle carte mai consultate che finiranno nelle mani dei suoi rapitori.
Il ritorno
Settembre 1971. L’uomo è vecchio, oramai, ma non cede, non vuole cedere. L’intenzione è quella di tornare indietro, di lasciare l’esilio e riprendersi ciò che è suo, che gli è stato strappato. Ma ci vuole tempo, ci vuole pazienza. Sono passati anni da quando ha perso il gioco del potere e, adesso, è costretto a vivere lontano dalla patria, protetto da un altro uomo di polso, nella capitale spagnola. La sua villa è appartata, vicino a un parco, gli da modo di pensare e riflettere sulle prossime mosse. Si confida con la moglie – la terza – sapendo benissimo che non potrà fare a meno di lei, se mai dovesse tornare in auge. Del resto, ha sempre avuto un debole per le donne di polso.
Immerso nelle proprie elucubrazioni, non sente arrivare il camion del pasticcere. Quando lo avvisano si domanda se per caso Isabel abbia fatto un ordine per qualche festa; poi gli dicono che il furgone non ha guidatore, è arrivato, è stato parcheggiato di fronte alla casa e chi ve lo ha condotto si è dileguato in fretta. L’uomo non ha paura. Se avessero voluto farlo fuori, le occasioni erano già state innumerevoli.
Esce dalla villa, fa aprire il furgone e vi trova un’unica cassa in legno, somigliante a una bara.
Dentro, un abominio.
La memoria
22 ottobre 1976. Nel Cementerio do la Recoleta la bara di una donna viene sepolta sotto strati di cemento, zinco e piombo. La sua è una tomba di quelle signorili, imponenti. È ricolma di fiori sin dal primo giorno.
L’iscrizione in alto porta scritto a caratteri in rilievo “Familia Duarte”
I protagonisti di questa storia ora possono assumere il proprio nome: Evita Perón, il dottor Pedro Ara, il Generale Aramburu, Juan Domingo Perón e molt* altri che, in un modo o nell'altro, rimangono nell'ombra o assurgono a momentanea celebrità per spietatezza.
Non è mia intenzione, in questo contesto, ripercorrere la storia degli anni del peronismo o ricostruire la figura di Evita; già è stato ampiamente fatto in molteplici versioni, anche mediatizzate. Qui si accenna solo di sfuggita a quello che fu il calvario del corpo della donna più famosa d'Argentina, un corpo che venne sottoposto a imbalsamazione, nascosto, sepolto in Italia, riscoperto dopo 14 anni e riportato in patria dopo 19. Una storia che ha avuto risonanza in saggi, romanzi, film e serie tv e, a mio modesto parere, tra i diversi titoli, si impone indiscusso il romanzo verosimile "Santa Evita" dello scrittore Tomás Eloy Martínez.
Tutto questo per dirvi che raccontare la Storia in modo diverso si può fare: qui si tratta di storytelling, a partire da un non detto che porta chi ascolta a prestare sempre più attenzione. Il fascino della narrazione storica si basa proprio sul coinvolgimento, un coinvolgimento che può essere modulato a adattato a seconda di chi abbiamo come interlocutor* e potrebbe diventare un grimaldello anche nell'insegnamento di una materia che, ahimè, sta perdendo sempre più interesse tra gli studenti giovani.